E’ possibile nel tempo presente, quando l’arte visiva appare seguire linee di tendenza, fenomenologie di mezzi, materiali, stili e linguaggi così diversificate, detta te molto spesso dalle logiche del “sistema dell’arte”, dal mercato vale a dire, tracciare il profilo critico di Maurizio Rinaudo (Venasca, CN, 1946, vive e lavora tra Osasco e Pinerolo). 
Pittore fermo nel perseguire un suo vedutismo paesaggistico, anche se ora affianca, nella ricerca pittorica, alle tecniche tradizionali della china, del carboncino, dell’olio l’uso del computer, del medium elettronico. Il critico è talora indotto dal  suo retroterra culturale, dal suo apparato esegetico, nel primo guardare una pittura di paesaggio fatta oggi, a considerarla operazione creativa facile, corriva, implosiva rispetto al nuovo, fuori tempo in definitiva.
E’successo anche a chi scrive questo profilo critico di guardare sorvolandoli i lavori di Rinaudo, la prima volta che gli è occorso di vederli.
Poi ha avuto occasione di riguardarli una seconda, una terza volta, e di cogliere che c’è  metodo, rigore di ricerca, mestiere attentamente coltivato, sensibilità cromatica del reale,  studio dell’ anima dei luoghi, confronto-ricordo dei luoghi come esperienza di sé in quella resa pittorica a primo acchito apparsa nativa, istintivamente immediata.

Ho scritto in altre occasioni, per altri artisti, che lo studio accademico è tutt’altro che disutile nel percorso formativo del professionista in arte, nel mettere insieme la sua cassetta degli attrezzi.
inaudo non ha frequentato Accademie, è autodidatta ma, da giovane, appassionato della pittura, ha fatto cenacolo, gruppo, qualcosa come bottega con validi maestri, ha coltivato  apprendistato paziente, un suo immaginario, una cifra espressiva, una manualità artigiana, un cifrario  tecnico-stilistico, suo e riconoscibile.
Non a caso ho detto di manualità coltivata con work in progress di ricerca, di affinamento.
La professionalità  il nostro se l’è costruita con fatica e verve leggera di dilettante, ha  avuto la possibilità e la ventura di non dover vivere del lavoro dell’artista, di essere libero nella ricerca quindi.

Nato, ultimo di sei figli di una famiglia contadina, ha fatto nei campi le prime esperienze lavorative, dove può vantare l’invenzione, il brevetto e riconoscimento di una innovativa macchina agricola; titolare di un’impresa di costruzioni e commercializzazioni immobiliari, l’agenzia di compravendite che ha avviato a Pinerolo la dirigono i figli ora, lui li segue ma può dedicare alla pittura un tempo quasi pieno.
Non ha l’affanno di dover vendere la pittura  che pure vende perchè, ha scritto di lui un suo critico, Giorgio Barberis, piace a tutti avendo il sapore, la fragranza dei prodotti dei campi di qualità, come il  Barolo della terra di Langa cui l’ artista ha dedicato una mostra nel 2009.

Credo non sia azzardo critico far rientrare la ricerca di Maurizio Rinaudo in quella molto larga, multiforme, sfaccettata, articolata in molti bracci, corrente di espressione pittorica, una sorta di coinè, lingua franca di pittura internazionale, che nasce col postimpressionismo, precede e poi glissa le avanguardie storiche, salta le neo e post avanguardie, le esplosioni movimentistiche innovative dell’arte visiva lungo tutto il 900 e continua a tutt’oggi. Pittura che, superando quanto c’era di trascorrente ed epidermico nella visione ottica degli impressionisti, è venuta recuperando, pur tenendo acquisita la nuova analisi della mutevolezza della luce, la sintesi plastica e strutturale della composizione pittorica, realizzata con il disegno, con gli stacchi di volumi dei cromatismi. Del resto, l’artista  attinge a una lunga tradizione piemontese tra 800 e 900 di vedutismo paesistico che ha dato esiti molte volte di gran qualità formale ed espressiva.

Sorgiva e genuina, la pittura di Rinaudo ma molto più ricercata nella cifra linguistica tecnico-espressiva di quello che potrebbe sembrare, come s’è detto. Il segno della sua pennellata, la scansione timbrica di tinte pure, povere, tendenti al monocromatico talora, ricordano, mi pare di vedere, il vedutismo quieto di un artigiano-poeta come Maurice Utrillo. Postimpressionista dell’ Ecole de Paris, l’artista francese dipingeva, con raffinato senso del colore, strade, scorci di Montmartre, aspetti della città più riposta e malinconica.

Dalla sua tavolozza Rinaudo trae, anche lui, cromatismi di soffice delicatezza, vedute malinconiche. Un colorismo aniconico, del ricordo, delle idee, il suo. Cromatismi della tavolozza terrosi, bruno-autunnali, colori e spleen del tramonto  in più lavori, niente intesi a porsi come mimetici quanto rivelatori dell’io profondo, del lirismo soggettivo dell’autore, del suo fondo di schiettezza contadina.
Se il parigino raccontava l’anima segreta della città, il pinerolese rivisita le pacate, romantiche vedute della  campagna dove s’è radicato il suo immaginario.

Scorci del paesaggio piemontese: campanili di paesi che, nello svettare  torreggiante delle torri campanarie, sul supporto verticale della tela, raccontano antiche storie e tradizioni condivise, la memoria simbolica dei luoghi vissuti dall’artista, borgate di Osasco e Pinerolo, alberate delle Valli del Pellice e del Chisone, cascinali del Saluzzese nello scorrere delle stagioni.
Ora invece sono luoghi più lontani, impressioni visive di viaggi, schizzate e poi lavorate in studio, l’Elba, Venezia, colori-ricordo, cangianti, filtrati nel romanticismo misurato, sereno dell’artista.
Gli scorci ambientali di luoghi contadini sono abitati, a volte, da figurine sapide di popolani piemontesi narranti lo spirito del luogo, come gli “omini” della sua Toscana che amava dipingere Ottone Rosai, reduci da un bicchiere di vino, dalla partita a carte in osteria. Qui il pittoresco è reso con le tecniche della tradizione. In talune prove si appalesa il mestiere tecnico maturato dall’artista, fughe prospettiche che rasentano l’illusionismo “grandangolare”dei  vedutisti veneziani del 700.
E cionondimeno, la ricerca dell’autore non si è fermata.

Nelle prove più recenti  sperimenta un cifrario segnico più stenografico, un linguaggio di vedutismo figurativo teso ad astrazione, il caos “pansemico” della pittura di macchia : dove un getto di colore vermiglio caduto sulla tela assume polivalenza semantica, potendo essere colto alla visione ora come il tetto di un casolare ora come la corona fiammata di un albero ora come una ninfea lacustre ora come una nuvola nel rosso-autunnale.
E ha cominciato ad  avvalersi, a sperimentare le potenzialità della Computer art, le variabili infinite che il mosaico elettronico può dare nella composizione strutturale dell’immagine e dei colori. Una ricerca in fieri quella del pittore Rinaudo.
Agli artisti innovativi da giovani succede piuttosto il contrario, lui, come il buon vino, invecchiando migliora.

FRAGRANZA  SORGIVA  E MESTIERE DELLA PITTURA
Prof.Sergio Turtulici