Unicamente chi permuta la felicità dell’immagine con la facilità della forma, mostrando quasi di dimenticare l’assioma leopardiano in base al quale niente è più difficile che essere facile, niente è più complicato di ciò che è semplice, potrebbe trascurare l’opera pittorica del piemontese Maurizio Rinaudo.

Nell'epoca contemporanea un artista senza ideologia, senza artifici, senza superfetazioni, diretto, può sembrare ai più non moderno.

E anzi Rinaudo, stilisticamente tanto riconoscibile, è un artista così estraneo alla vacua problematicità dell’arte moderna che quando lo si osserva lo si ama, e quando non lo si osserva si rischia di dimenticare. Capita, contrariamente, di rimembrare opere che non è necessario osservare, che sono palesemente ottuse e inconcludenti.
È questo un implicito pregiudizio nell’estetica contemporanea che, diffusamente, legittima come degno di considerazione solo ciò che è tradizionale, riconoscibile, banale. Maurizio Rinaudo, al contrario, appartiene a quella rara categoria di pittori che è necessario osservare, verificare nella tecnica, in base a un principio di qualità e relativamente a una struttura formale di perfetto controllo, esattamente come un pittore antico.

Andrea Dipre'